Latitudine 45°39'' Longitudine 9°2''
L "Archivio Arcivescovile di Milano" racchiude una miniera
di informazioni e rappresenta una fonte inesauribile per la storia delle comunità della
Diocesi Milanese del XVI-XVIIsec..
Ciò è dovuto alla lungimiranza della politica ecclesiastica del tempo e in primo luogo a
San Carlo Borromeo, che impose aiparroci delle pievi della Diocesi di tenere uno stato
anagraficodegli abitanti e ai "Visitatori" delle parrocchie, incaricati di
solito
dai Vescovi, di eseguire una dettagliata relazioni sui beni della chiesa e sullo stato
della loro conservazione e consistenza. Non mancano osservazioni e note sul comportamento
sociale nel clima religioso del tempo degli abitanti della comunità.
Da una accurata analisi della documentazione archivistica su Rovello Porro, il professor
Franco Premoli ha potuto delineare un quadro preciso e dettagliato della situazione del
tempo.
Questa, unita ad una indagine sullordinamento dellacomunità da un punto di vista
politico amministrativo, dame condotta per una tesi di laurea, consente di definire
icontorni della storia di una piccola comunità nella secondametà del XVI sec.
LA POPOLAZIONE
Dallo "Stato d'anime" del 1574 risulta che risiedevano in Rovello 534 abitanti,
di cui 286 maschi e 248 femmine, mentre in quello del 1578-79 ne sono elencati 589, dicui
323 maschi e 266 femmine
Dal momento che letà anagrafica veniva calcolata approssimativamente, senza un
riferimento oggettivo fino al 15novembre 1564 data della prima registrazione di un
battesimo aRovello, è quasi impossibile una comparazione fra i due"Stati
d'anime", in
quanto ci sono troppe disparità nella attribuzione dell'età alle stesse persone.
Comunque, considerando i dati forniti nel 1574, si può osservare, nella piramide delle
età, che poche persone superavano i 40 anni, pochissimi i 60 e che la maggior parte della
popolazione (280 persone pari al 54,26%) era compresa nelle prime due fasce (0-19 anni).
Si potrebbe, dunque, concludere chel'età media fosse fra i trenta e i quaranta anni.
In questo periodo i battesimi, e quindi le nascite, hanno oscillato da un minimo di
tredici nel 1574 a un massimo di quarantuno nel 1578, con una punta eccezionale di
settanta nel 1583.
I matrimoni, invece, vanno da un minimo di tre nel 1566 e 1570a un massimo di dodici nel
1574. L'aspetto interessante è che essi si celebravano prevalentemente nei mesi
invernali, cioè quelli più liberi dal lavoro dei campi. Per quanto riguarda i morti non
si possiedono dati per il ventennio preso in esame, inquanto la registrazione comincia nel
1593. Però, prendendo inconsiderazione il periodo 1593-1600, si rileva che il numero dei
decessi oscilla tra un minimo di quattro e un massimo
diventidue.
Le nascite superavano le morti e la popolazione era in aumento.
Purtroppo l'incremento era talvolta bruscamente interrotto dalle carestie e dalle
epidemie, che, ciclicamente, colpivano la popolazione. Nel periodo considerato è da
ricordare la peste del1576-77, passata alla storia come la "peste di SanCarlo"
che,
tuttavia, non falcidiò la popolazione rovellese.
LA COMPOSIZIONE DEL NUCLEO FAMILIARE
Lo "Stato d'anime" del 1574 precisa non solo i nomi dei parrocchiani, l'età, i
nuclei familiari, ma anche la professione, lo stato sociale, le case, le contrade.
I nuclei familiari, o "fuochi", nel 1574 erano 84,nel 1578-79 risultavano 96. La
composizione era abbastanza varia:si andava dalle vedove che vivevano da sole, o con i
figli, alle famiglie con genitori e figli, alle convivenze comprendenti i genitori con i
rispettivi figli sposati ed i relativi nipoti, oppure fratelli, sorelle e zie. Ogni
abitazione ospitava uno o anche più nuclei familiari, fino a un massimo di quattro. Il
numero delle case si aggirava intorno alle trentacinque unità; i più grandi proprietari
erano,
eccettuati due (i fratelli Alberioe la parrocchia), appartenenti a famiglie nobili
(Pagani,Carcano, Corio, Mugiasca, "Clevenna").
Gli stessi ritornano insistentemente nelle indicazioni delle coerenze dei beni della
parrocchia e risultavano quindi detentori di una parte cospicua della proprietà fondiaria
del territorio.
Non tutti abitavano nel borgo, potevano tranquillamente risiedere la città a Milano o a
Como e in campagna. Si deve,dunque, constatare che la maggior parte dei nuclei familiari
abitava in alloggi di locazione.
LE ABITAZIONI
La casa costituisce un dato importante per valutare le condizioni materiali
dell'esistenza. Dall'elenco dei beni della chiesa parrocchiale abbiamo la descrizione
della casa del massaro, che dimorava nell'abitazione appartenente allaparrocchia. Essa era
costituita da "cusina, camera et stallaet un solar di sopra, curte, aia et
orto". Di media condizione era l'abitazione del parroco, che "conta luoghi tre
in terra et portico uno, cioè cosina, canepa et stalla, etcamere due di sopra, et un
solar da grano, con curte etorto".
Ci sono in più una cantina e una camera, che normalmente serviva per gli ospiti, tra cui
il vescovo quando veniva in visita pastorale. Nella pianta della chiesa parrocchiale
compare anche un salotto. Erano case costruite su due piani, ma potevano anche essere a
uno solo. I1 materiale da costruzione eracostituito da pietra, legno o, più raramente,
mattoni. Le casedei nobili comprendevano sicuramente un maggior numero di stanze.Se
dall'esterno si fosse passati poi, all'interno,all'arredamento, al
mobilio, si sarebbe notato che le suppellettili nelle case modeste erano ridotte
all'essenziale: il letto, il tavolo, alcune casse dove si teneva la dote e i beni di
famiglia, qualche sedia, panche e sgabelli, gli attrezzi necessari per la cucina
(stoviglie, coltelli,
cucchiai e forchette in misura minore), poca biancheria e vestiaro. Nelle case dei nobili
talvolta la differenza poteva essere rappresentata soltanto dalla disponibilità di una
quantità maggiore degli stessi oggetti.
COMPOSIZIONE SOCIALE
Nel 1574 su 84 famiglie, 62 erano contadine: 34 massari e 28 braccianti; quattro di tipo
artigianale: un sarto, un panettiere, un oste e un falegname-oste; otto di gentiluomini:
Pagani, soprattutto, Pusterla e "Clevenna"; otto risultavano avere come
capofamiglia delle vedove; di due non vengono specificate la professione del capofamiglia
o lo status sociale.E' dunque netto il carattere rurale della popolazione rovellese
rispetto a una nobiltà terriera, che esprimeva i notabili del borgo, le cui condizioni
materiali di vita potevano ritenersi agiate.
MASSARI E BRACCIANTI
Tra i massari e i braccianti esisteva una certa differenza.Infatti, i massari coltivavano
dei poderi appartenenti al signore e avevano il diritto di fare proprio, totalmente o in
parte, il raccolto, pagando un canone stabilito al proprietario, mentre i braccianti erano
dei salariati fissi, le cui paghe erano allimite della sussistenza. Quindi le condizioni
di vita erano migliori per i massari, visto che alcuni di loro potevano anche permettersi
di tenere un servitore in casa.
L'appellativo dei nobili era "signore","messere",
"gentilhuomo", in latino"dominus" e "madonna" per le donne.
Erano i Pagani comunque i "signori" di Rovello. Erano loro che avevano il
diritto di decima su due delle otto parti del territorio e monopolizzavano la vita
municipale del paese.
IL SALARIO
MONETE
ALTRE UNITÀ DI MISURA
VITA SOCIALE
La piazza era il centro del borgo e il luogo dove si tenevanole assemblee municipali.
Situate sulla piazza del borgo esistevano due osterie, come sideduce dal fatto che tra gli
artigiani, o "magister", figuravano due osti, e così pure nella "contrada
della piazza" abitava il sarto.
L'osteria e la piazza erano i luoghi dove gli uomini si incontravano, erano il centro
della socialità, dove si beveva, si discuteva, si ballava. Anche se losteria
favoriva una certa solidarietà tra gli uomini, che vi trascorrevano il loro tempo libero,
da parte delle
autorità ecclesiastiche essa era spesso considerata una contro-chiesa, dal momento che le
virtù cristiane rischiavano di essere trascurate.
Contro ogni abuso vegliava lautorità della chiesa e le norme venivano rispettate,
diversamente si andava incontro asevere sanzioni come il richiamo pubblico, pene,
sospensione deisacramenti e perfino la scomunica.
Diversi e frequenti furono i decreti e le misure legislative emanate da S. Carlo sulla
santificazione della festività, ainiziare dalla partecipazione alla messa e alla
regolamentazionedelle altre cerimonie, tese a promuovere la vita cristiana, in modo da
lasciare poco tempo per le occupazioni e le distrazioni profane. Alla domenica e nei
giorni di festa i locali pubblici dovevano essere chiusi durante le funzioni, i mercanti
ambulantie coloro che giocavano alla palla non potevano rimanere sul piazzale della chiesa
durante le cerimonie religiose. Erano proibiti i mercati, le fiere, gli scambi
commerciali, la riscossione dei tributi, i balli, le danze, le commedie, i torneie gli
altri divertimenti simili.
ALIMENTAZIONE
L'alimentazione della popolazione era prevalentemente acarattere vegetale: frumento,
miglio, orzo, avena, segale, ceci,fave.
C'era il pane bianco, ma era destinato a un consumo ridottoe di lusso. Il pane dei
contadini era costituito da frumento misto alla crusca, alla segale ed agli altri tipi di
cereali, aseconda dei momenti dell'abbondanza e della carestia. Poi c'erano gli animali
che si tenevano nella stalla e il pollame che davano latte, burro, formaggio, uova, carne,
lardo e strutto.
LE VIE DEL PAESE
I nomi delle contrade, che si ricava dallo "Stato d'anime", permettono di
ricostruire la pianta dell'antico borgo, la cui fisionomia si è conservata fino ad oggi.
La "contrada di San Pietro" corrisponde allattuale via Cardinal
Ferrari,
la "contrada di S.Maria di Piazza" allattuale via Piave, la "contrada
del pozzo" a via Volta, la "contrada della piazza" a piazza A. Porro,
"contrada del ponte" via Marchese Pagani,
"contrada della Madonna della Lura" via Madonna, "contrada di sopra"
viaF. Porro.
La cascina detta del "Camuzono" o "Imperiale" corrisponde
allattuale cascina Imperiale, nella campagna verso Saronno, dove Matteo II
Visconti,signore di Milano nel 1354-55, fece costruire un palazzo stabilendovisi con la
sua corte, e qui morto nel 1355.
I COGNOMI
Per quanto riguarda i cognomi molti risultano presenti ancora oggi: Volontè,
Premoli, Bonsignori, Pagani, Alberio,
Banfi, Giudici, Radice,
Porro, Cattaneo, Robbiani, Brasca, Villa.
Altri invece non sono più riscontrabili, come: Bregnani, Sesti, Cerri, Pedrazzani
Copreni, Guarnerio, Lovatti.
I soprannomi
Quasi quasi si potrebbe dire a ciscun rovellese il suo:
Babài, Baban, Basic,Bacicia, Bacioch Badéù, Banfin,
Bagat, Bagatel, Bagian, Balanzin, Balanzun, Baldasa, Baletu, Balin, Balogna,
Balugnin, Barbadura, Barbarit, Barbin, Barbun, Barèla, Barica, Barlài,
Barbabà, Bartanel, Bartol, Bartulin, Bauscet, Belaria, Bergamasch,
Bernes, Bersaglier, Berta, Beuc di piat, Bìa, Bia, Biel, Biéù, Biéùra,
Bifet, Bigatèe, Bigeta, Bigiéùra, Bigin, Bilisch, Biraga, Biséù,Bitulin,
Biunt, Bragheta, Bregabusc, Bregnan, Brentel, Brianzéù,
Brighèla, Brusàa, Brusabumburin, Bucascia, Buchin, Budor,
Bugiana, Bugiòo, Bugit, Bulgiun, Buroni, Buscheta,
Buséù, Busin, Businasc, Bustoch, Butit.
Cacao, Cagafich, Cagneta, Cagnun, Calcagn, Campanat,
Campée, Canela, Canelin, Cantinun, Canturel, Capela, Capitani del gius,
Capunel, Carioca, Carlantoni, Carlin de la Giuana, Carlutin, Carluvila,
Casciabal, Cascinascia, Casina, Catò, Cavagnin, Cazù, Cerleta, Cescurin,
Chigascia, Chinéù, Cicia, Ciciareta, Ciciòla, Ciciun, Cip, Cislaghin,
Ciudit, Ciuet, Cobas, Crapa, Creatura, Cristò, Crot, Crumiri, Cubiù, Cucù,
Cuerciat, Cugnàa da tucc, Culumbit, Cumàa, Cuméù, Cumin,
Cuncordia, Cunelin, Cunsar, Cunsarel, Cunsarit, Cupit, Curin.
Dilèù, Dindina, Dumenic bel, Fambros, Farèe, Fareréù,
Faturel, Filizéù, Fitàul, Fràa, Frascheta, Frec, Frumaiat, Fungo
cines, Funsin, Furmagin, Gabana, Gabet, Gaeta, Gagiot,Galdin, Galera, Galeta,
Gambadriza, Gana, Gat, Gepan, Geràa, Ghèi, Gianèla, Gigian, Gigian, Gigiéù,
Gigiot, Gimara, Giop, Gip, Gipet, Girumit, Girun, Giuan de l'ai, Giuanèla, Giulài, Giuspin,
Gremàa, Grin, Gsin, Guanzara, Gucia, Guerc, Guerin, Gumet, Gurlin,
Gurnàa, Gurun, Jacum, Jè, Jò-Jò, Imperial, Isola, Lacée, La mur,
Leca, Legnamée, Legnan, Lep, Lepet, Lepacù, Lepasc, Leun, Levàa, Ligrezot,
Lileta, Lisandrin, Lisun, Liz, Luet, Luin, Lunghet.
Mandrenéù, Maghet, Maghin, Magnan, Magnanel, Magnanit, Magnanòo,
Maiàa, Maioca, Malem, Mamaìsa, Mamascia, mandan, Magiatrafuìina, manzot,
Marài, Marangit, Marascial, Marcascit, Marchel, Margài, Marietun, Marinun,
Màrtar, Martineta, Masée, Maruzo, Masèla, Masenéù, Masit, Masot,
Mastelet, Mastrel, Mastrigun, Matel, Mateoti, Mavar, Meghéù, Melin,
Menacuin, Menaia, Meneta, Mèus, Mesmat, Mezom, Mìa, Michit, Miin, Milanes, Miléù,
Minghela, Mora, Mugnin, Munscia, Munscin, Muret, Muschit, Nain, Nanun, Nasun,
Navascin, Neguziant di buget, Ngiola, Ngiulun, Niasc, Niel, Ningàan, Ninun,
Nuai.
Pacianaric, Paciarisot, Pacìfich, Pacin, Pagnach, Paisan, Palanca,
Panelat, Pansceta, Papeta, Parcina, Parusin, Pasienza, Pasin, Pasturel, Patavéùia,
Patin, Patun, Paulasc, Paulet, Paveta, Pavit, Pédar, Pedret, Penan, Pentac,
Pentèra, Pentoni, Pepascia, Peràa, Peranas, Pertmerda, Perugia, Pesin, Petabal,
Petarun, Peurzun, Piangin, Piangit, Piat, Piata, Piatè, Picel, Piciéù,
Piciona, Piciu, Piciurèla, Piciurlana, Pierot, Piéuc, Pifarel, Piléù,
Pilò, Pinagiu, Pinéùra, Pinin, Pipa, Pipeta, Pipò, Pirlin, Pisac,
Pisafin, Piscinèla, Pisingesa, Pistech, Pitachèla, Pitech, Pol, Polabech, Preméù, Prestinée
vec, Preta, Prevost, Puarom, Pucia,Puiana, Pumat, Pumela,Pumpiun, Puncin,
Pustée.
Quai, Quaiot, Rabiàa, Ragnin, Rat, Ratel, Réùa, Riéù,
Risiàa, Riulin, Rizet, Ros, Ruan, Ruana, Rudin, Rusin, Ruzet, Sacrafizi,
Sacramegna, Sait, Samaza, Santalmac, Santinéù, Sbranafer, Scarat,
Scirian, Scroch, Secrista, Senzabarba, Setemez, Setarapuresit, Sfrisun,
Sghergnàa, Sghergun, Sgherlit, Simbiun, Simun, Sindachel, Slancius, Speranza,
Squit, Squitarèla, Strascéè, Sturnun, Suréè.
Taléù, Tampanin, Tapin, Tatao, Tazun, Tegnun, teretée,
Testagain, Teta, Tiset, Tistéù, Tistun, Trafiàa, Tramarot, Tremacùa, Tribula,
Trona, Tubia, Tugnéù, Tugnin, Tuneta, Turara, Turet.
Viazéùra, Vinghèi, Vitur.
Zambrit, Zambrun, Zanzurla, Zarit, Zerù, Zigareta,
Zinzeta, Zirlin, Zola.
LE CHIESE
Lungo i secoli la chiesa ha rappresentato il centro dell'agglomerato rurale, la
"capitale di una comunità".
Sovente ha dato il nome ai villaggi, ai borghi, ne ha delimitato i confini, ne ha imposto
la forma con le case che lesi disegnavano attorno, ed anche là dove sembra essere fuori
dal centro abitato, non ne veniva ridotta la funzione centrale. Il campanile era il
simbolo stesso del borgo o del villaggio, con le campane che misuravano il tempo e che
annunziavano a tutti le cerimonie sacre e talvolta anche quelle profane.
S. Pietro
S. Pietro era la chiesa parrocchiale, situata sul luogo dovesi trova lattuale,
dedicata ai SS. Pietro e Paolo. Eraposta fuori dal centro abitato, ad una sola navata,
lunga circam. 70 e larga circa m. 15, con lingresso dal lato meridionale in quanto
la facciata
confinava con la casa delparroco. Il pavimento era di ghiaia e cemento ed il soffitto era
costituito da una travata unita da assi dipinte.
Possedeva tre altari: il maggiore nella cappella omonima e gli altri due dedicati
rispettivamente alla Madonna e a S. Rocco, eretti nelle rispettive cappelle per devozione
dalla comunità.
La navata era divisa in due parti da un divisorio in legno: laparte settentrionale era
riservata alle donne, l'altra agli uomini:
labside e le cappelle erano decorate di affreschi.
Santa Maria della Lura
Santa Maria della Lura è, con tutta probabilità, quella indicata nei documenti come
"Sancta Maria campestris", una chiesetta campestre, dedicata alla Natività di
Maria, situata sul luogo dell'attuale Santuario della Beata Vergine del Carmelo,
circondata
dal cimitero e con annessa una casa.
S. Maria della Piazza
S. Maria della Piazza è lultima chiesa citata, lunga circa m. 7 e larga circa m. 5,
preceduta da un portico e con una campana attaccata al campaniletto a vela.
Queste ultime due chiesette erano state dotate di beni dai nobili Pagani e dalla comunità
di Rovello e affidata ai frati Carmelitani, dipendenti dal Monastero di S. Maria dei
Carmelitani di Milano, per i riti religiosi, senza cura danime,
con lobbligo anche di tenervi una scuola per insegnare la grammatica ai fanciulli
del luogo.
LA DECIMA
La chiesa parrocchiale aveva il diritto di decima.
La decima era un contributo per il sostentamento ecclesiastico, dovuta dai possessori di
fondi in base ad antiche convenzioni che consisteva in origine nella offerta della decima
parte dei prodotti del fondo. Naturalmente i fedeli la davano al parroco
come corrispettivo dell'amministrazione dei sacramenti edelle funzioni di culto.
Per antica consuetudine, su una delle otto parti in cui sidivideva il territorio di
Rovello, la Chiesa di S. Pietro traeva circa dieci moggia di mistura: miglio, segale e
frumento all'anno. I possessori delle altre sette decime, sempre per antica consuetudine,
davano alla chiesa ogni anno dodici staia dimistura: segale e miglio ciascuno, che
chiamavano il "redecimo". Dalla decima e dal "redecimo" si ricavavano
più di venti moggia all'anno.
Ogni massaro e bracciante, era poi, tenuto a offrire la primizia al parroco, ossia uno
staio di segale e uno di miglio da parte dei massari e uno staio tra segale e miglio da
parte dei braccianti. Tenuto conto che i massari erano circa una trentina e altrettanti i
braccianti, si ricavavano in totale ogni anno intorno alle dieci moggia di mistura. I
nobili, invece, non pagavano la primizia.
LE CONFRATERNITE
Diffusissime erano le devozioni e le varie forme di pietà popolare, espressione di una
pratica abitudinaria più che di fede profondamente vissuta.
Il contesto in cui si viveva era caratterizzato drammaticamente dalla paura della fame,
delle disgrazie, delle calamità, delle malattie e della morte.
Ecco il motivo per cui sorsero varie forme di associazione o sodalizi religiosi che,
incontrandosi più o meno frequentemente, per i loro riti e le loro devozioni e recitando
preghiere, si impegnavano in un continuo miglioramento della loro condotta,
aiutandosi l'un l'altro in caso di bisogno, soprattutto nella malattia, e facendo
celebrare funerali e suffragi per i confratelli defunti.
Tanti gruppi e confraternite avevano avuto un'origine precedente l'arrivo di S. Carlo a
Milano, come quelle in onore della Madonna e dei Santi, le compagnie della Carità, la
confraternite dei Disciplinati ed altre ancora.
Fra tutte spiccano però la "Scuole della Dottrina Cristiana" e la
"Confraternita del Santissimo Sacramento": la prima aveva il compito principale
di istruire ragazzi e adulti nella fede attraverso incontri dicatechesi, che si tenevano
nei pomeriggi dei giorni festivi nelle chiese, la seconda incentrata sulla pietà
eucaristica.
OPERE DI ASSISTENZA
San Carlo mostrò sempre un interesse particolare per le opere di carità, prescrivendole
in tutte le regole delle confraternite da lui stese o revisionate, e invitando i parroci
ad essere "i padri dei poveri della parrocchia", sovvenendo ai loro bisogni.
Così spettava alla Chiesa occuparsi dellopera caritativa, ritenendola una
componente fondamentale della sua missione.
Diversi lasciti, donazioni, legati e testamenti, soprattutto di gente nobile,
prescrivevano elemosine per i poveri. Il nobile Carlo Carcano ordinava nel suo testamento
la distribuzione ogni anno di due moggia di pane di frumento alla comunità o ai poveri di
Rovello. Così pure Giorgio Pagani aveva ordinato, nel testamento del 1576, di dare ogni
anno una elemosina, consistente in tre moggia di pane di frumento, agli uomini o ai poveri
del borgo; ed anche i nobili Augusto e Lucrezia Lampugnani avevano
prescritto la distribuzione di cinquanta lire imperiali di panedi frumento all'anno per lo
stesso scopo. San Carlo nei decretidel 10 settembre 1583, fatti seguire alla visita di
Bernardino Tarugi, ricorda che la comunità di Rovello era tenuta a distribuire ai
poveri del luogo un moggio di pane di frumento in virtù del legato di Marzio Pagani, come
appariva nel testamento del 1485, il quale per soddisfare a questo scopo aveva lasciato un
terreno di una pertica. Purtroppo non sempre gli eredi erano solleciti
nell'assolvere alla volontà dei testatori, per questo gli uomini di Rovello il 23 aprile
1582, convocati dal console del borgo Bernardino Pagani e dal suono delle campane, si
riunirono nella casa parrocchiale, dove erano soliti radunarsi per faccende di
questo genere, per eleggere nelle persone del parroco Giovanni Basilico, del suddetto
console e di Francesco Alberio i loro procuratori per ricevere le elemosine di Carlo
Carcano, Giorgio Pagani e Lucrezia Lampugnani.
VITA AMMINISTRATIVA
LASSEMBLEA
La vita amministrativa della comunità si regge sullassemblea.
Si legge nelle "Novae Costitutiones": "Nel consiglio della comunità daran
voce tutti li capi di casa, abitanti di essa terra et anche li cittadini abbienti fuor
diessa se vorranno o un loro procuratore se lo vorranno deputare, ed i medesimi cittadini.
O loro
rappresentanti, potranno intervenire ad ogni cosa anche si si tratti o possa trattarsi
loro interesse et luniversità si congregherà in piazza precedendo il suono delle
campane, et il console proporrà quello che si avrà da trattare".
Queste norme generali sono eseguite in tutte le riunioni delle assemblee comunitarie.
Tutti i capi famiglia, senza distinzione di ceto, intervengono al consiglio della
comunità per decidere gli affari e gli interessi che li riguardano: devono risultare
residenti e, se sono assenti, possono delegare altre persone.
Non è necessario che tutti i capi famiglia siano presenti; basta che raggiungano la
maggioranza dei due terzi, che rappresentino la parte più anziana e più ricca e che
siano unanimi e concordi nelle decisioni.
La convocazione dellassemblea avviene, innanzitutto, per la nomina delle tre cariche
più importanti della comunità: quella del console, dei sindaci e del postare del sale.
Lassemblea si riunisce, inoltre, in casi di pubblica utilità, quando deve eleggere
dei procuratori per difendere i propri interessi:
sia che si tratti di controversie con lecomunità vicine per la ripartizione degli oneri,
sia di liti per il mancato assolvimento della tassa del sale da parte del
postaro, sia di
prescrizioni stabilite dalle autorità centrali attraverso le "Grida".
Lassemblea è convocata di solito agli inizi degli anni solari: per il rinnovo delle
cariche di console, sindaci e postaro. Non è tassativo che tali cariche vengano assunte
ogni anno con convocazione di assemblea: le nomine possono essere convalidate
tacitamente, di anno in anno, e protrarsi anche ai mesi di febbraio, marzo, ecc.
Il diritto di nomina dei procuratori della comunità viene riservato ai sindaci.
IL CONSOLE
Il console è lorgano più rappresentativo dellordinamento comunitario.
I rappresentanti della comunità, riuniti in assemblea, affidano la carica di console ad
un individuo, specificandone i doveri e gli obblighi.
La persona eletta si fa garante degli oneri della comunità nei confronti dello Stato.
Innanzitutto, come massimo esponente della organizzazione della comunità, deve prestare
giuramento allautorità superiore; poi deve recarsi tutte le volte che ci siano di
mezzo denunce civili e criminali.
Deve assolvere lonere dello "stratae" (gestione e controllo delluso
delle strade) e qualsiasi altra convenzione che possa ricadere sulla comunità durante il
suo esercizio; deve assistere gli "agenti camerali" perle esecuzioni, e
redigere, insieme ai sindaci, il "quinternetto" (registro dei ruoli
contributivi) delle gravezze (tasse) e la nota di coloro che devono essere esenti da
imposte; infine deve notificare, alle autorità competenti, ognianno tutte le
"biade".
I suoi compiti si concentrano sul prevenire ogni abuso che possa colpire la popolazione e
a non far subire alla comunità danni e rischi derivanti dal mancato assolvimento degli
oneri, delle tasse e delle denunce.
In altre parola, la carica di console corrisponde, grossomodo, a quella dei sindaci degli
attuali ordinamenti comunali.
Nellatto di elezione del console, la comunità stabilisce il corrispettivo premio;
viene fissata una somma chedeve essere riscossa presso tutti gli abitanti.
Stando alle consultazione di atti notarile non è una carica molto ambita.
I SINDACI
Laltra carica che affianca il console nella guida dellavita amministrativa della
comunità è quella dei sindaci; essi sono eletti in numero di due o tre.
I sindaci sono chiamati "procuratori della comunità", in quanto delegati a
sbrigare i "negotia" (le negoziazioni) inerenti al loro specifico mandato.
A differenza dei consoli, a loro spetta, principalmente, la ripartizione dei
"pesi" (oneri), fare i "compartiti" (comparti retributivi) o
"quinternetti" delle "gravezzze", inviare ordini al postare del sale
per riscuotere le somme presso gli abitanti, consegnare le
"note" dei dazi.
Senza maneggiare denaro pubblico, che rimane sempre nelle mani dei postari, i sindaci
regolano le imposte che i singoli fuochi devono sostenere, controllano le entrate,
pubblicano i ruoli, applicano maggiorazioni, nei limiti consentiti, tengono regolare
contabilità di tutte le spese occorrenti per viaggi, difese processuali. Possono spendere
fino a dieci scudi doro.
I sindaci svolgono insomma tutte quelle mansioni che spettano alle odierne Giunte
Municipali, Consigli Comunali e Segretari:
contabilità, stesura di bilanci, approvazione di provvedimenti durgenza per nuove
tasse, tutela degli interessi generali della popolazione.
I sindaci, chiamati ad assumere tali incarichi, provengono dal ceto privilegiato locale,
da grossi proprietari terrieri ed anche, raramente, da ceti meno abbienti. Come pure i
consoli appartengono, di solito, a ceti facoltosi, legati alle casate, con estese
proprietà, anche se viventi in distinte famiglie.
IL POSTARO DEL SALE
Nessuna influenza deliberativa esercita il postaro del sale; egli riceve in appalto la
riscossione dei tributi gravanti sulla comunità secondo i "quinternetti",
affidatigli dal console e dai sindaci, e deve rigorosamente attenersi alle norme
stabilite.
Pertanto la persona investita deve rispondere di fronte al fisco. Ogni comunità sceglie
il proprio esattore di imposte, dispone le modalità di pagamento, stabilisce il salario e
la mora per gli insolventi.
Il postare si impegna ad anticipare le somme alla Camera per conto della comunità, si fa
rilasciare documenti di garanzia daparte dei sindaci e del console e salda i vecchi
debiti.
I pagamenti avvengono alle calende di agosto e di novembre; su ogni "libra"
imperiale il postaro incassa tre soldi.
Lappalto viene assunto da cittadini abbastanza ricchi, da coloro cioè che possono
anticipare somme al fisco.